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Immagine del redattoreRoberta Mariotti

Dalla benevolenza al miglioramento

Aggiornamento: 18 mag 2020

Lavorando ogni giorno con atleti e imprenditori, che desiderano migliorare i loro risultati, mi rendo conto di quanto uno degli ostacoli – all’inizio apparentemente invalicabile – origini proprio dalla scarsa abitudine delle persone alla benevolenza. La benevolenza è una caratteristica messa in moto da una volontà che mira al bene, un atteggiamento che genera il desiderio di fare bene ed essere ben disposti nei confronti di se stessi e degli altri.

La benevolenza è un atto consapevole, non un ingenuo atto di bontà incondizionata.

Forse è una disposizione che abbiamo imparato grazie all’educazione ricevuta, ma possiamo sempre acquisirla o accrescerla. Dalla benevolenza nasce sempre il miglioramento. E’ proprio il prendersi cura di sé e degli altri (ma anche dei propri limiti e imperfezioni) che genera le condizioni per volgere al meglio. Anziché impiegare spasmodicamente il nostro tempo nel mettere a fuoco ogni errore, ogni incapacità, ogni fallimento – punendoci e combattendo con noi stessi e con il mondo perché non dovevamo sbagliare – potremmo abituarci ad accrescere il nostro atteggiamento benevolente, per consentirci di migliorare la nostra vita, il nostro lavoro, le relazioni. Invece di combattere con noi stessi e con gli altri alla ricerca di un ipotetico perfezionismo, possiamo accettare l’errore come parte imprescindibile di un percorso di miglioramento e impegnarci concretamente a superarlo, con maggior fiducia nelle nostre possibilità, qualunque esse siano. La spinta al successo, esasperata e assillante, alimentata dalla credenza che se voglio ottenere un risultato o una vittoria posso realizzarli sempre, ha portato molte persone a credere che la volontà verso il successo sia l’unica chiave. Così, chi non ottiene il successo sembra che non lo desideri abbastanza, che non lo persegua a sufficienza, che non creda in se stesso. Il successo però non dipende solo ed esclusivamente da fattori attribuibili a noi. Se ad esempio lavoro in un’azienda, i miei risultati potrebbero dipendere, oltre che dal mio impegno e capacità, anche dal mercato, dal team o dalle scelte strategiche imprenditoriali. Se gioco in squadra, i risultati non dipenderanno solo dalle mie singole prestazioni, ma anche da quelle del team. Se pratico uno sport individuale, i risultati deriveranno non solo dalla mia preparazione atletica e mentale, ma anche da quella dell’avversario o dalla valutazione dei giudici. Talvolta viviamo circostanze che non possiamo modificare, se non in parte, e non dovremmo misurare il nostro valore solo in termini di realizzazioni esterne, ma anche di ciò che siamo effettivamente e di cosa possiamo generare, partendo da ciò che abbiamo. In realtà il valore delle persone va oltre ciò che fanno e realizzano e la loro autostima non può essere costruita solo attraverso un focus esterno. Essere benevolenti – nella vita privata, nell’impegno sportivo, nello studio o nel lavoro – significa imparare innanzitutto ad evitare giudizi negativi, punitivi o penalizzanti nei confronti di sé o delle proprie azioni, per poi estendere questa disposizione positiva – nutrita e sviluppata con se stessi – verso gli altri (figli, genitori, partner, colleghi, collaboratori, atleti, studenti, etc.). Accentuare la nostra disposizione a risuonare positivamente alimenta il nostro potere carismatico e attrattivo e ci consente di vivere meglio anche il viaggio verso il miglioramento, oltre che il successo.  Così potremmo goderci ogni singola tappa, accettando anche imprevisti o soste, prima di ripartire. Espandere benevolenza richiede impegno, allenamento, ma è sempre possibile per chiunque e porta a indiscussi risultati positivi a sé, agli altri e al mondo. E allora: disponiamoci al miglioramento, con benevolenza!






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